venerdì 18 gennaio 2013

Europa e adozioni


L’Europa sembra ormai avviata verso la totale accettazione dell’adozione da parte di single e di coppie di fatto lasciando presagire che presto l’Italia dovrà adeguare la propria normativa in materia.
Inoltre, spesso in occasione della chiusura degli orfanotrofi si è tornati a parlare del problema dei bambini abbandonati e della necessità di aggiornare la normativa che regola l’adozione al fine di abbreviare ed ottimizzare i tempi per la realizzazione del progetto adottivo.
Senz’altro tutti i genitori adottivi che abbiano “subito” il lungo iter burocratico per arrivare all’adozione, sperano che presto venga fatto qualcosa. E’ un desiderata comune, infatti, proprio la revisione di tutta la normativa nazionale sia in termini di semplificazione amministrativa, sia in termini di snellezza di procedure , sia in termini di riduzione dei tempi di attesa e dei costi.
Sicuramente l’apertura alle coppie di fatto, considerato l’attuale ritardo delle coppie in genere ad arrivare al matrimonio e le diverse scelte possibili, potrà facilitare qualche adozione in più rispetto alle attuali e forse non è negativa anche l’apertura alle adozioni da parte di single per evitare la permanenza nelle case famiglia dei minori abbandonati.
Le difficoltà economiche che oggi i giovani incontrano quando decidono di costruire un nucleo familiare possono solo aggravarsi con il diventare genitori, anche se in questo caso non cambia essere genitori naturali o adottivi.
Inoltre, è noto l’elevato numero di coppie in attesa di adozione che non riescono a veder realizzato il loro percorso sia in ambito nazionale che internazionale, coppie che aspettano ormai da anni con i decreti di idoneità già ufficiali ma che fanno parte di lunghe liste di attesa spesso causate da motivazioni poco chiare  e trasparenti: la difficoltà di adottare minori italiani e i molteplici vincoli che altri stati impongono per i minori stranieri.
Infine la riflessione più importante è quella che nasce dalla personale esperienza di adozione che rende quotidianamente indispensabile la presenza di una coppia affiatata, salda  e stabile che riesca ad affrontare le precipue difficoltà scaturenti dalla genitorialità adottiva.
La contestuale presenza del padre (uomo) e della madre (donna) sono fondamentali per la crescita equilibrata del minore che ha subito l’abbandono da parte della figura materna, che non ha quasi certamente vissuto alcun rapporto con la figura paterna e che deve rapportarsi ad un adulto per poter costruire la propria individualità. E’ indispensabile che l’adulto di riferimento riesca a comunicare stabilità emotiva e psicologica e riesca a dare le certezze necessarie affinché il minore si senta accettato, protetto, amato e accompagnato nella sua crescita psicofisica.
Pur ritenendo in linea di principio che, per un bambino abbandonato, sia meglio essere comunque adottato, anche da un solo genitore o da una tipologia particolare di coppia, piuttosto che rimanere in istituto senza specifici rapporti affettivi; va affermato con forza che, prima di queste adozioni alternative, dovrebbero essere completamente esaurite le liste di attesa da parte di famiglie “secondo natura” e, solo quando per il minore non vi fosse altre possibilità, scegliere soluzioni diverse.
Alla base di questa affermazione l’esperienza personale di genitori adottivi di minori già grandi che nel giro di pochissimo tempo dall’essere diventati genitori si sono dovuti scontrare con le problematiche della filiazione adottiva “aggravate” da quelle tipiche dell’adolescenza.
In primo luogo, perché il minore adottato avendo sofferto principalmente l’abbandono da parte della madre è quindi  portato a contestare e  a difendersi , per paura di un nuovo abbandono, dalla nuova figura materna.
Questo fatto nella vita di tutti i giorni rende indispensabile la figura maschile, paterna, che diventa il solo tramite con il femminile e che riesce, attraverso la dimostrazione di amore e fiducia nella madre, a far si che il figlio impari a fidarsi e ad amare di nuovo senza timore.
In secondo luogo d’altra parte, l’eventuale assenza di una figura femminile, materna, nella vita del minore abbandonato impedirebbe il superamento del trauma iniziale e non favorirebbe il riformarsi del rapporto di amore e fiducia verso la parte femminile di sé stesso e del mondo necessaria alla crescita equilibrata del minore.

genitoriadottivi@yahoo.it

giovedì 10 gennaio 2013

Una idea di scuola


Presi dai problemi della crisi economica sembra che molte tematiche siano scomparse dalle riflessioni, così tutto sembra sospeso: sono scoparsi i ragionamenti su scuola, lavoro, sanità, casa.

Tutto sembra essere passato in secondo ordine rispetto alla necessità, giusta, di far quadrare i conti, che poi senza molta fantasia si tratta di trovare il modo di aumentare l’imposizione fiscale e tagliare le spese statali.

Eppure i problemi rimangono presto o tardi qualcuno dovrà riprendere il filo di un ragionamento  politico su come deve essere impostato il nostro paese.

Sulle politiche della scuola, del lavoro, sulla sanità sull’abitazione.

Passati i professori e ristabilito l’equilibrio economico dovremmo tornare a capire cosa la nostra società vuol fare.

Approfittiamo, quindi, di questa tregua per alcune riflessioni sul nostro modo di intendere la scuola sperando di aprire un dibattito utile al nostro paese.

In estrema sintesi individuiamo nella scuola pubblica il compito principale nell’esercizio dell’istruzione intesa come l’insieme delle azioni tese all’insegnamento, divulgazione ed approfondimento delle conoscenze della cultura umana e alla famiglia l’educazione intesa come il complesso delle azioni tese ad inserire l’istruzione ricevuta all’interno di un determinato quadro di valori.

Il tentativo di dare alla scuola pubblica una valenza valoriale è continuo; esso è preminente in tutti i sistemi politici prettamente dittatoriali, talvolta è presente anche nei modelli comunemente definiti come democratici da parte delle organizzazioni, in quel momento, esercitanti il potere.

La difesa del momento educativo diventa, quindi, la difesa delle libertà individuali contro la possibile dittatura della maggioranza.

Quando l’esercizio del momento istruttivo pubblico si accompagna alla divulgazione di valori e messaggi contrari a chi esercita il momento educativo evidentemente si creano delle frizioni.

Non esiste un concetto di subalternità del momento istruttivo a quello educativo (o viceversa) vi è solo distinzione di esercizio e di finalità, quindi, sarebbe opportuno che i due ambiti si fondessero o confondessero con dovute cautele e sempre tenendo presente i reciproci limiti.

A questa impostazione è opinione corrente che si assegni alla scuola pubblica anche il compito di veicolare valori ma rimangono irrisolte alcune questioni come ad esempio quali valori proporre; in concreto questa impostazione si risolve nell’esercizio di uno stato etico (l’idea di uno stato che pone se stesso come fonte dell’etica) o nella prevaricazione di una lobby educativa che altrimenti, nella società, non riesce ad affermarsi.

Fissato uno standard minimo, tuttavia, non vi è ragione di limitare la libertà di costruire percorsi istruttivi complementari, integrativi o sostitutivi di quelli effettuati nelle scuole pubbliche.
  
Rimane, nel dibattito, (che in verità sembra essere la vera questione) il problema delle risorse e la loro ragionevole ripartizione tra gli interessati (insegnanti, studenti, personale non docente, strutture, etc.).

Su questo non devono esserci equivoci, una volta assegnata all’istruzione pubblica il compito di realizzare un determinato iter formativo è fondamentale che siano forniti tutti i supporti economici necessari al conseguimento dell’obbiettivo, in termini di adeguata remunerazione del personale, adeguatezza delle strutture e disponibilità di fondi per la ricerca.

Fatta questa premessa è ragionevole trovare uno o più parametri per la ripartizione degli stanziamenti pubblici: in base al numero degli utenti, in base al numero degli utenti che concludono il ciclo di studi, in base a meccanismi di deduzione degli imponibili fiscali delle famiglie degli utenti o di detrazione dalle imposte delle stesse famiglie.

Sono sicuro che così impostata la questione della scuola possa far sedere tutti intorno ad un tavolo per intraprendere le iniziative atte a modernizzare questo settore fondamentale per il nostro sviluppo, sempre che non si voglia continuare in strumentalizzazioni ideologiche che solo servono a compromettere negativamente il futuro nostro e delle prossime generazioni.

 Luigi  Milanesi

Tre considerazioni.

La prima è che dobbiamo impegnarci affinché venga adeguatamente spiegata la nozione di Terzo Polo.
In molti ci chiedono cosa sia e quale sia la sua funzione.
Non è sufficiente la denuncia del fallimento di questo bipartitismo muscoloso che ha condannato l’Italia alla paralisi, non è nemmeno sufficiente la costruzione di una casa comune degli scontenti o degli espulsi dei due poli.
In pratica dobbiamo trasmettere un’anima a questa formazione e questa anima deve essere condivisa da tutti i partecipanti.
Per quanto mi riguarda allora, convinto da questo entusiasmante progetto, prendendo in prestito le parole ricorrenti nello statuto di un altro partito, penso che sia necessario, senza complesso alcuno, comunicare la nostra intenzione di ricostruire un polo nazionale, popolare, aconfessionale di ispirazione cristiana coniugando l’orgoglio dell’essere stati, nel passato, dalla parte giusta della storia con la certezza di indicare, oggi, al nostro popolo la via migliore per la crescita.

La seconda è che dobbiamo porre in maniera inequivocabile la questione della legalità.
Non ricostruiremo la passione ed il ruolo della politica se non poniamo la questione della legalità come elemento costitutivo della nostra testimonianza: controllo del territorio, efficienza della pubblica amministrazione, certezza del diritto e della sua osservanza, lotta alle mafie che soffocano il nostro futuro.
Sul queste concretezze ci dovremo misurare e su questo sarà valutata la nostra testimonianza.

La terza è che dobbiamo modificare l’attuale modello economico che coniugando precarietà nel mondo del lavoro e riduzione dello stato sociale sul fronte pensionistico mina la stabilità delle nostre famiglie.
Non possiamo accettare una politica economica che socializza le perdite e privatizza i profitti e che individua nei tempi difficili come unica soluzione la contrazione degli investimenti in scuola, sanità e servizi e nei tempi migliori indirizzi alle imprese le risorse aggiuntive.
Dobbiamo riprendere in mano la battaglia del giusto valore del lavoro da cui dipende in ultima analisi la vita e la dignità di ognuno di noi e dei nostri figli.